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Oltre 35 mila persone, più di due ore e mezza di rock, un concerto dall’impatto visivo spettacolare: i Muse conquistano Torino, e lo fanno con un evento straordinario.

Quello che va in scena al Comunale il 28 giugno è qualcosa di memorabile. Si apre poco dopo le 21, qualche minuto d’attesa rispetto a quanto preventivato per la prima tappa italiana del Summer Stadium Tour della band londinese, cominciata qualche giorno prima all’Emirates Stadium di Londra. I posti sul prato brulicano di vita. Il palco e gigantesco. Una lunga passerella s’insinua tra la folla e la divide in due ali. Accanto al palco gruppi di cellule giganti che durante il concerto s’illuminano a tema ritmicamente. La scena che chiude lo stage è un enorme parete con tre monitor per trasmettere le immagini in diretta, con scenari di un futuro apocalittico che si susseguono inclementi e inesorabili.

TORRI DI FUOCO VERSO IL CIELO – Matt Bellamy, Dominic Howard e Chris Wolstenholme arrivano come sbucando da una gigantesca porta robotizzata e cominciano a suonare. La folla s’accende, in concomitanza con sei enormi ciminiere che dietro di loro levano verso il cielo torri di fuoco. Dopo l’avvio con Supremacy scatta un classico come Plug in baby, che incendia le gole degli astanti. Con Panic Station poi arriva l’unico uso goliardico dei maxischermi, con le massime autorità temporali e spirituali del globo terracqueo contemporaneo le quali diventano capoccioni animati in digitale che ballano a tempo di musica assieme a smilzi alieni verdi.

L’ATTACCO AL CAPITALISMO – Il trio londinese non si risparmia un secondo: alterna schitarrate rock a ballate languide, offrendo arrangiamenti dinamici e capolavori d’assolo negli interludi tra un brano e l’altro, con la voce del leader della band che incanta prorompente ed energica, veicolando pelle d’oca e brividi sulla nuca. Un tributo musicale a Ennio Morricone – Man with a harmonica – invita poi a scivolare sulle cavalcate polverose e western di Knights of Cydonia, correndo a cavallo verso la seconda parte del concerto. C’è quindi tempo per un attacco alla società capitalistica, con la rappresentazione in scena delle morti di un arrogante magnate e di una donna d’affari che si uccide bevendo benzina, mentre le ciminiere lanciano lingue di fuoco sempre più alte nel cielo nero di Torino. Bellamy scende anche a trovare i due in una camera ardente – con tanto di bare e corpi giacenti a mani giunte – sistemata sotto il palco. L’attrice interprete della donna d’affari spunta anche più avanti, da una gigantesca lampadina volante, volteggiante come un angelo e appeso a un filo.

LA SVOLTA ECO – Nell’alternanza dei pezzi del loro album ecologicamente più impegnato, The 2nd Law – il cui titolo si rifa alla seconda legge della termodinamica per cui ogni energia tende ad esaurirsi –, non mancano riproposizioni dal passato, come la dolcissima Unintended o la cover di Feeling good, con un enorme robot assassino – Charles the robot, nel pezzo The 2nd Law: Unsustainable – che spunta sul palco nel finale, facendosi carico dell’espressione del peggio di questa società. Arrangiamenti nuovi, per le canzoni dall’ultimo disco, con Chris Wolstenholme che sorprende, risultando meglio dal vivo piuttosto che in studio, con una voce graffiante e potente nel pezzo scritto e cantato da lui Liquid State. Ma Bellamy è il vero fulcro del complesso, che soverchia con i propri acuti i cori torinesi dell’Olimpico e mira dritto al cuore sia con la chitarra che al piano, risultando un musicista completo e un interprete suggestivo e raro. Giusto un paio i cambi d’abito per la poliedrica band, perché a farla da padrona è solo la musica.