Dallas Buyers Club, il disagio della malattia apre alla speranza

21 venerdì Feb 2014

Posted by Mattia Guazzi in Cinema, Giornalismo

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Ci troviamo negli anni Ottanta. Ron Woodroof (Matthew McConaughey) è un elettricista texano dedito nel tempo libero a piccole truffe nei rodei. Portato in ospedale dopo un incidente sul lavoro, dalle analisi del sangue gli viene riscontrato il virus dell’Hiv: la prognosi è di trenta giorni di vita. Dopo una fase di rifiuto, decide di aggrapparsi alla vita come meglio riesce, e con l’aiuto della dottoressa Eve Saks (Jennifer Garner) e dell’omosessuale Rayon (Jared Leto), malato di Aids a sua volta, comincerà una battaglia personale contro la Fda, l’Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali statunitense.

Jean-Marc Vallée mette le mani su una storia vera, e propone un taglio registico ruvido e minuzioso per questa pellicola che vanta ben sei candidature agli Oscar 2014 del prossimo marzo, scegliendo con attenzione cosa mostrare e sapendo di poter contare sulla presenza scenica del suo cast. L’ex bello e sornione McConaughey e il leader dei 30 Seconds to Mars Leto (premiati ai Golden Globe di gennaio rispettivamente come miglior attore in un film drammatico e miglior attore non protagonista) ben si completano e reggono perfettamente il peso di un lungometraggio dalle tematiche delicate, proponendo nell’interazione dei due personaggi alcuni scambi agrodolci che smorzano la tensione. Il primo, dimagrito di oltre venti chili per esigenze di copione, si è calato nei panni di un personaggio dal passato sgradevole e di dubbia moralità, offrendogli un volto emaciato e patito, ma dignitoso e sfacciato nel percorrere la difficile strada della redenzione; il secondo indossa le vesti – da donna – sconvenienti di un malato terminale ripudiato da buona parte della società. Buona anche la piccola parte della Garner, che rivela con gli occhi molto più di quanto la sceneggiatura non le consenta. La parabola, disegnata nelle fosche gradazioni del giallo del Texas polveroso con una fotografia molto caratterizzante, ben lascia intuire il colore della malattia, raccontando di un disagio continuo ma proiettato con intensità verso una speranza sempre viva di poter cambiare le cose.